Ipnosi, meditazione, imagery, mindfulness nel training sportivo.

Tanti nomi per la stessa cosa?

Spesso quando si parla di training mentale nello sport si sentono usare termini come ipnosi, meditazione, concentrazione o visualizzazione. In alcuni casi poi si scelgono termini inglesi come imagery o mindfulness. Ma stiamo parlando della stessa cosa chiamandola con nomi diversi oppure si tratta di condizioni molto diverse fra loro. E se è così, che cosa le differenzia?

Se ascoltiamo il racconto di coloro che hanno vissuto in prima persona alcune di queste esperienze troveremo nelle loro testimonianze molti punti in comune, ma questo è sufficiente per sostenere che stiamo parlando di condizioni analoghe?


Ipnosi e meditazione secondo la letteratura moderna


Innanzitutto, quando parliamo di ipnosi e meditazione, parliamo, secondo la letterattura moderna, di stati alterati di coscienza. Uno stato alterato di coscienza è definito come “a qualitative alteration in the overall pattern of mental functioning such that the experiencer feels his [or her] consciousness is radically different from the ‘normal’ way it functions” (Tart, 1972, as cited in Pekala & Cardena, 2000, p. 95).

In generale, noi preferiamo sostituire il termine “alterato” con “alternativo”, in quanto questi stati si è visto essere condizioni spontanee dell’individuo (vedi Rossi, ritmi ultradiani).

Ci sono sicuramente molti motivi per credere che vi siano analogie tra ipnosi, meditazione e mindfulness e altre pratiche di allenamento mentale. Vediamo, prima di procedere alcune definizioni.

Nel 2001, la British Psychological Society, ha prodotto un documento intitolato “The Nature of Hypnosis”. In questo lavoro si definisce l’ipnosi come uno stato alterato di coscienza raggiungibile attraverso delle procedure verbali (suggestioni ipnotiche) fornite da un soggetto ipnotista ad uno ipnotizzato.

Con il termine meditazione ci riferiamo ad un insieme di pratiche di auto-regolazione che puntano l’attenzione sullo sviluppo della consapevolezza (Walsh e Shapiro, 2006). In una recente definizione operazionale della meditazione mindfulness (MM) sottolinea l’importante di porre l’attenzione sull’esperienza immediata, con crescente curiosità, apertura mentale e accettazione dell’esperienza stessa.

La pratica della mindfulness porta la persona a lasciar scivolare i propri pensieri senza elaborarli ma semplicemente osservandoli e accettandoli. Una recente meta-analisi su cinque studi inerenti l’efficacia della MM sul miglioramento della salute in alcune condizioni cliniche, dimostra un’efficacia in alcuni studi sul trattamento del dolore muscolo scheletrico cronico, nel dolore fibromialgico, in aggiunta ai trattamenti classici sulla cura della psoriasi e alcune indicazioni promettenti sullle cure in contesti tumorali.

Arne Dietrich e gli stati di coscienza riscontrabili nel mondo sportivo

Nel 2002, Arne Dietrich mette a confronto diversi stati di coscienza generati in condizioni particolari. Dietrich evidenzia i correlati neuroanatomici dello stato di ipnosi, meditazione, sogno, sogno ad occhi aperti, stati indotti da droghe e lo stato denominato “runner’s high”, ossia quello stato psicofisico particolare che sperimentano i corridori superando un certo livello di fatica. L’autore cerca le analogie e le differenze di questi 6 stati alterati di coscienza facendo riferimento all’ipotesi di una transitoria ipoattivazione dell’area frontale. Vediamo in sintesi, cosa ci dice dei più comuni stati di coscienza che incontriamo nel mondo sportivo.

Stato di trance agonistica

In particolar modo è stato studiato lo stato di “running high” ben conosciuto dai maratoneti. A livello fenomenologico il “running high” è descritto da un’estrema sensazione di felicità, aromonia interiore, quasi estatica, sensazione di unione fra sè e l’ambiente, pace, perdita della cognizione temporale, forte energia interiore e riduzione della sensazione del dolore. Le ricerche in psicologia cognitiva hanno dimotrato che gli esseri umani hanno una capacità limitata nel processare le informazioni, in particolar modo per ciò che riguarda le risorse attentive. (Broadbent 1958, Cerry 1953).

Questo si dimostra particolarmente vero per quelle attività motorie che richiedono un’intensa attivazione delle aree sensoriali e motorie, a spese dei centri cognitivi superiori prefrontali. In altre parole, uno sforzo motorio intenso, prolungato e ripetitivo (come ad esempio la corsa su lunga distanza) costituisce un enorme costo a livello cognitivo che il nostro sistema cerca di compensare “risparmiando” sull’attivazione della nostra corteccia pre-frontale. Questo risparmio è dimostrato dall’elevata presenza di onde alfa nella zona della corteccia prefrontale.

Questa ipoattivazione cerebrale spiegherebbe tutte le fenomenologie descritte dai soggetti che sperimentano il running high (es. perdita della percezione temporale, estasi, ecc).

Meditazione

Tutti gli studi esistenti che monitorano lo stato di meditazione attraverso le recenti tecniche di neuroimaging (PET, SPECT e rMRI) convergono sull’evidente attivazione dell’area dorsolaterale della corteccia pre-frontale. Questo dato appare in contraddizione con l’ipotesi dell’ipoattivazione frontale sostenuta da Dietrich alla base degli stati alterati di coscienza. Ma risulta coerente con il fatto che in tutte le tecniche meditative il soggetto focalizza volontariamente la sua attenzione su un mantra, sulla respirazione o su altri eventi interni o esterni.

Paradossalmente si osserva però anche un aumento delle onde alfa nell’area frontale. Questo dato però va letto considerando il fatto che l’EEG monitora larghe porzioni di corteccia cerebrale essendo poco sensibile ad evidenziare differenze tra le regioni che compongono una determinata area. L’aumento di onde alfa spiegherebbe le sensazioni di calma, pace, armonia, perdita di riferimenti spazio-temporali, aumento di consapevolezza personale e riduzione del pensiero astratto.

Ipnosi

I recenti studi di neuroimaging hanno dimostrato una cambiamento nell’attivazione neurale soprattutto a carico delle aree parieto-temporo occipitali (TOP) senza una corrispondente attivazione a livello dell’area dorso-laterale (DL) della corteccia pre-frontale.

L’aumento di attivazione viene rilevato invece nell’area ventromediale (VM) della corteccia prefrontale, dovuta alla richiesta di elaborazione attenzionale degli input verbali suggeriti al soggetto. Questo dato può essere inoltre spiegato anche ricordandoci le connessioni che la VM ha con l’area limbica, deputata alla trasmissione delle informazioni emotive. I soggetti sottoposti ad ipnosi riportano spesso infatti un’intensa attivazione emotiva durante le esperienze di trance.

Un’altra area della zona frontale implicata nel processo ipnotico è sicuramente la corteccia cingolata anteriore.

Un’altro dato interessante che nasce dalle ricerche di Spiegel e King, nel 1992, è la scoperta che il livello di ipnotizzabiliità soggettivo possa essere correlato con il livello di acido omovanillico (HVA) nel liquido cerebrospinale. HVA è un metabolite della dopamina e questo dimostra una correlazione tra ipnosi e attività dopominergica. Infatti nei pazienti schizofrenici che hanno un’anomala attività dopaminergica, il livello di ipnotizzailità è decisamente più basso del normale.


Mindfulness

Lazars (2005) attraverso l’utilizzo di immagini strutturali (voxel-based morphometry VBM) di cervelli di meditatori esperti in confronto con non-esperti, evidenzia un incremento del volume della materia grigia nel primo gruppo di soggetti, soprattutto nelle regioni associate alla consapevolezza di sè, ossia il giro temporale sinistro, la corteccia frontoinsulare e l’ippocampo destro. Holzel nel 2007 rilevò inoltre uno sviluppo significativo della corteccia orbitofrontale destra e del talamo destro, regioni implicate nella regolazione delle emozioni.

In termini di immagini funzionali, analogamente a quanto si osserva nella letteratura dell’ipnosi, si rileva un’attivazione della corteccia cingolata anteriore e dell’area DL della corteccia pre-frontale.

Imagery

Definita come visualizzazione o ripetizione o immaginzazione che può coinvolgere uno o più sensi (Ligget e Hamada, 1993). In questo articolo gli autori fanno una distinzione tra imagery mentale e imagery cenestesica. In quest’ultima la persona si sente realmente coinvolta nel movimento che immagina, attivando così quelo che Frester chiama “allenamento ideomotorio”. Taylor e Gerson (1992) hanno riferito effetti amplificati dell’imagery sotto ipnosi sull’autoefficacia, sulla forma tecnica e sulla prestazione atletica. Anche Ligget (200) è arrivato alla stessa conclusione sostenendo che l’imagery in stato di ipnosi è più intensa e vivida rispetto a quella senza ipnosi.

Training Autogeno

Mensen nel 1975 descrisse l’AT come “figlia legittima” dell’ipnosi. Tra le varie definizioni date al AT ricordiamo quella che dice che il training autogeno è “una terapia psicofisiologica di autocontrollo”. (Pikoff, 1984). L’obiettivo dell’AT è permettere l’autoregolazione attraverso una concentrazione passiva, anche descritta come autoipnosi.

Nonostante ciò uno studio di Diehl del 1989 che investigava il flusso regionale cerebrale in 12 volontari durante il training autogeno e l’ipnosi ha dimostrato che le perfusione sanguigna globale è meno significativa nell’AT che nell’ipnosi. In uno studio recente (Ostojic, 2005), ricercando l’elettrofisiologia correlata al training autogeno, gli autori hanno osservato un prevedibile aumento delle onde alfa e della coerenza interemisferica.

Conclusioni

– l’ipnosi, la meditazione e la mindfulness condividono gli stessi circuiti neuronali ed evidenziano una transitoria ipoattivazione della corteccia pre-frontale in generale, ed una attivazione di alcune regioni di interesse specifico come la corteccia cingolata anteriore;

– le diverse tecniche utilizzate per ottenere questi stati “alternativi” di coscienza agiscono su specifici circuiti pre-frontali (DL per la meditazione e mindfulness, VM per l’ipnosi)

– alcuni sforzi motori, ripetitivi e di elevanta intensità (es. maratona) possono indurre uno stato di “economia” cerebrale con una ipoattivazione delle zone frontali e una ridistribuzione delle risorse cerebrali nelle aree sensoriali e motorie;

– in tutti gli stati di rilassamento psicofisico è riscontrabile un aumento delle onde alfa cerebrali e, nel training autogeno, un’aumento della coerenza interemisferica;

– le tecniche di imagery attivano prevalentemente le aree sensomotorie e possono essere potenziate dalla loro esecuzione in stato di trance ipnotica;

– dal punto di vista neurofisiologico e neuroanatomico ci sono delle evidenti analogie fra le varie tecniche o pratiche, ciò che si differenzia è la modalità con cui si ottengono questi cambiamenti a livello cerebrale e gli obiettivi che ci si pone con ciascuna tecnica.

– sebbene in letteratura sia sempre indicata l’ipnosi come uno stato di coscienza alternativo ci sono alcune ricerche che sosterrebbero la teoria del non-stato, ossia che i correlati neuroanatomici e neurofisiologici rilevabili nello stato di trance ipnotica non sarebbero unicamente riferibili allo stato ipnotico.

Per tornare dunque alla domanda iniziale, alla luce dei dati descritti, ci sentiamo di dire che ci sono evidenti analogie tra ipnosi, meditazione, mindfulness, training autogeno, se osserviamo queste tecniche o pratiche da un punto di vista neurofisiologico e neuroanatomico.

Ovviamente cambiano le pratiche e le finalità di intervento ma l’attivazione cortico-sottocorticale è simile.

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