Il piede piatto nel bambino
Quella del “piede piatto” è ancora oggi una definizione irrisolta. Il piede piatto è una condizione fisiologia di tutti i bambini nei primi anni di vita, che però può diventare patologica in alcuni casi. Come dice il termine stesso, la patologia presenta un paramorfismo che definisce la riduzione o la scomparsa della volta plantare longitudinale. Fino a 4-5 anni di età, non vi è motivo di preoccupazione nei genitori, in quanto il piede del bambino è fisiologicamente piatto. Dopodiché subisce un processo di maturazione progressiva che porta alla formazione della volta plantare che si completa intorno ai 12-13 anni. Non è possibile identificare in questi termini un’entità nosologica precisa ma piuttosto ci si può riferire ad una manifestazione clinica alla quale possono sottendere diverse cause. Non esistono infatti, parametri universalmente accettati che possano aiutarci a definirlo in un modo, diciamo così, matematico. In linea di massima, la definizione nasce dalla descrizione morfologica del piede in carico, oltre che dalla sua condizione anatomopatologica.
Definizione scientifica di “piede piatto”
“Un dismorfismo del piede caratterizzato dall’abbassamento della volta plantare e dalla deviazione in valgo del retropiede”
Qui però nasce il primo problema.
In effetti non è stato definito “quanto piatto” deve essere il piede piatto, non esistendo un parametro fisiologico universalmente accettato di altezza dell’arco.
Inoltre, la deviazione in valgismo del complesso astragalo-calcaneare può non essere presente o comparire in tempi diversi rispetto all’abbassamento della volta longitudinale mediale.
Per questo, più correttamente, il piede piatto si può definire come:
“Condizione nella quale l’arco longitudinale plantare è abnormemente abbassato o assente, con allargamento istmico dell’impronta plantare e frequente pronazione del calcagno”
Questa definizione permette meglio della precedente di sottendere una serie di condizioni diverse per eziopatogenesi, gravità, prognosi e trattamento.
Pisani, introducendo il concetto di “coxa pedis” fornisce del piede piatto una definizione di tipo morfologico e clinico, ma anche di tipo patogenetico.
Definisce il piede piatto come:
Quadro sindromico di ispettivo piattismo per affrontamento del versante mediale del piede al suolo, che spazia dal fisiologico al patologico, da una strutturazione in piatto della volta (“piede piatto valgo”) ad una sua strutturazione in cavo (Piede CalcaneoValgo), da una completa asintomaticità a quadri tarsalgici con possibile coinvolgimento soprasegmentario e con varia connotazione radiografica. Il tutto espressione di molteplici, non sempre definibili, momenti patogenetici”
G. Pisani
La condizione di “piede piatto” viene quindi identificata qui come una sindrome.
Come tale, dal punto di vista clinico, può rientrare in uno spettro a genesi multifattoriale che va dal patologico alla normalità evolutiva, con una grande variabilità di espressione clinica e di intensità dei sintomi.
Root definisce il piede piatto attraverso dei criteri di tipo biomeccanico:
“Una deformità contraddistinta da una pronazione anomala della sottoastragalica, prolungata dalla fase di contatto alla fase di appoggio centrale, finanche nella fase propulsiva”
Riconosce quindi nel piede piatto un difetto di pronazione, intendendola come eccessiva o come errata temporalmente, nella sequenza del passo.
Root, con questa definizione introduce la “sindrome pronatoria”, nei fatti riconducibile ad una destabilizzazione periastragalica, che coinvolge essenzialmente la coxa pedis.
La manifestazione è quella di una perdita di assetto globale del piede sotto carico che porta ad affrontare il terreno con il versante mediale.
Non inquadra una specifica causa patogenetica né una precisa patologia sottostante. La causa della perdita di allineamento funzionale del complesso della coxa pedis potrebbe essere causato sia da una semplice deviazione in valgo del retropiede come da una condizione articolare degenerativa dell’articolazione mediotarsica o da cause esterne al piede di tipo legamentose, muscolari o di allineamento rotazionale dell’arto inferiore.
La classificazione del piede piatto può essere effettuata a partire dalla sua eziopatogenesi oppure valutando il quadro clinico.
La prima classificazione, più datata, comprende diverse possibili cause di piede piatto dividendole essenzialmente in base all’insorgenza, se congenita o acquisita.
La seconda, si basa sul quadro clinico, basandosi su osservazioni di tipo funzionale.
La classificazione del PPVI
La classificazione del PPVI si basa sull’osservazione dell’impronta plantare al podoscopio.
Questo strumento permette di studiare la conformazione dell’impronta statica ed in carico corporeo, situazione che, come sappiamo, determina l’abbassamento della volta plantare in questo tipo di piede.
Lo strumento permette di valutare anche le eventuali deviazioni del calcagno, osservate da dietro.
Pisani, infatti, ci insegna che un “ispettivo piattismo” non determina necessariamente un appiattimento dell’arco, ma che un calcagno valgo può far sembrare piatto un piede in effetti cavo.
L’esame al podoscopio, per quanto semplice, permette di valutare la conformazione del piede in carico e di scegliere l’approccio più corretto.
Questo esame va però sempre integrato con un esame dinamico, che permetta di valutare il comportamento del piede durante il cammino.
Impronta normale
L’impronta del piede sotto carico si considera normale se, tracciando una tangente al bordo mediale del piede, la perpendicolare a questa linea condotta nella parte più stretta dell’impronta o istmo si divide in due parti uguali.
Il settore di carico è pari al settore che non appoggia, o di non carico, con un rapporto di 1:1.
Piede piatto di I grado
se la porzione in carico è superiore al 50% della perpendicolare.
Piede piatto di II grado
se la porzione in carico si avvicina a coprire il 100% della perpendicolare.
Piede piatto di III grado
seil collasso della regione astragalo-scafoidea determina un’impronta che, sul bordo mediale è maggiore della perpendicolare e supera anche la tangente che va dal tallone al primo metatarso.
Basandosi sull’impronta plantare il piede piatto può essere ulteriormente suddiviso in tre categorie:
PIEDE CALCAGNO-VALGO:
Presenta un valgismo accentuato del retropiede con un arco plantare ben conformato sia in carico che in scarico.
PIEDE PIATTO VALGO:
Più frequente nei maschi, presenta un’impronta plantare in piattismo solo in carico, a causa della caduta dell’arco plantare.
PIEDE CAVO-VALGO:
Più frequente tra le femmine, presenta valgismo del retropiede e riduzione dell’istmo plantare in carico. Il peso risulta distribuito tra avampiede e calcagno.
Patognomonico è il profilo esterno concavo, da disassamento del retro–avampiede. Frequente la presenza di un scafoide accessorio, spesso sintomatico.
La valutazione iniziale del piede del bambino
La valutazione del piede del bambino si basa su due pilastri portanti:
- Attenta anamnesi
- Età del bambino
In anamnesi, deve essere ricercata la eventuale familiarità per piede piatto o la presenza di patologie congenite o acquisite che possano determinare la comparsa della morfologia in piattismo.
Innanzitutto bisogna distinguere tra un piede piatto statico o rigido, ed un piede piatto dinamico, o flessibile.
Nel primo caso, è più probabile che il piattismo possa derivare da cause costituzionali o scheletriche.
Nel secondo caso, la familiarità per iperlassità legamentosa o per malattie neuromuscolari possono indirizzare l’osservazione verso valutazioni opportune.
Importante è indagare lo sviluppo psico–motorio del bambino dalla nascita fino al momento dell’osservazione.
Riguardo all’età del bambino, l’approccio, fermo restando un accurato esame obiettivo, è orientato dalle fasi dello sviluppo sapendo che il piede piatto flessibile mostra un’evoluzione spontanea positiva.
- Entro i 3 anni di vita
- Tra i 3 ed i 6 anni
- Dai 6 anni fino alla pubertà
- Dall’adolescenza fino alla maturità scheletrica
Entro i 3 anni di vita
È l’eta in cui il piede impara a funzionare come organo di senso, sviluppando la sua funzione propriocettiva tramite l’interazione con l’ambiente.
Il piede è fisiologicamente piatto. Si presenta lasso, flessibile, mobile, e con il calcagno in pronazione. L’atteggiamento è correggibile manualmente.
In assenza di reperti particolari dall’esame obiettivo, l’atteggiamento è di vigile attesa, senza indicazioni terapeutiche o di imaging.
Tra i 3 e i 6 anni
In questo momento il piede affianca al proprio “addestramento propriocettivo” lo sviluppo della funzione dell’elica ad assetto variabile, in risposta al terreno ed alle fasi del ciclo del passo.
È importante valutare l’allineamento assiale e torsionale degli arti inferiori alla ricerca di condizioni che possano aggravare il valgismo.
Con un’impronta di grado III si può valutare l’uso di ortesi plantari che riportino il calcagno ad un allineamento corretto.
Fondamentale il tipo di scarpa che il bambino deve indossare. Il piede deve ancora sviluppare le sue capacita propriocettive, vanno quindi evitate suole rigide, che isolino il piede, o suole eccessivamente morbide che assorbano troppo le sollecitazioni provenienti dal terreno.
Tra i 6 anni e la pubertà
Questo è il periodo in cui il piede dovrebbe aver affinato sia la propria capacità propriocettiva come organo di senso, che la propria funzionalità effettrice, come organo di moto.
Con un’impronta di III° grado in questa età, le scelte terapeutiche devono essere ben ponderate.
I fattori che possono indurre o aggravare la condizione di piattismo devono essere adeguatamente valutati ed affrontati in ottica multidisciplinare.
La tutela ortesica deve essere ben studiata e sorvegliata accuratamente. Non si esclude il ricorso alla chirurgia.
Dall’adolescenza alla maturità scheletrica
È la fase del rapido accrescimento.
L’aumento del peso, dell’altezza e dell’attività fisica, anche sportiva, può portare alcuni pazienti ad essere sintomatici.
Il dolore è il sintomo principale, accompagnato da una sensazione di affaticamento dopo attività sportive o intense e scompare sempre con il riposo.
Il dolore, saltuario, può limitarsi al piede o coinvolgere la regione mediale del ginocchio.
La valutazione è simile a quella di un adulto, con approfondimenti strumentali di imaging utili per valutare tutte le strutture, articolari ed extra-articolari sulla base degli esiti dell’esame obiettivo e programmare un eventuale ricorso alla chirurgia.
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