La malattia venosa cronica: come gestirla in modo corretto
Cos’è la malattia venosa cronica
La Malattia Venosa Cronica (MVC) è una condizione morbosa che il medico incontra frequentemente nella sua pratica quotidiana.
Si stima che nei paesi occidentali la prevalenza della MVC superi il 40% della popolazione adulta, mentre in Africa, Asia ed Oceania la MVC è quasi completamente sconosciuta.
In Europa si stima che il 25% della popolazione è affetta in qualche modo dalla malattia varicosa, considerata nei suoi vari aspetti.
La prevalenza attuale è del 10-50% nell’uomo e del 50- 55% nella donna. Si tratta di un quadro epidemiologico non sorprendente, se si considera che la gravidanza è un fattore di rischio importante per la MVC.
Altri fattori di rischio per la patologia sono:
- l’età,
- una storia familiare positiva per malattia venosa,
- l’uso di anticoncezionali orali o di terapia sostitutiva in menopausa,
- episodi di pregresse trombosi alle venose superficiali e/o alle profonde,
- traumi agli arti inferiori,
- immobilizzazione forzata e postura eretta per lungo tempo.
La MVC si può manifestare in vari modi, spesso non subito evidenti sul piano clinico.
Si tratta, comunque, di una condizione morbosa che peggiora in maniera rilevante la qualità di vita dei pazienti per effetto di una sintomatologia fastidiosa, spesso dolorosa, talora invalidante. Questo oltre agli inestetismi che può provocare e che rendono più difficile la vita sociale.
I sintomi della Malattia Venosa Cronica possono esistere sia in presenza che in assenza di varici evidenti.
Le complicanze, quali tromboflebiti, dermo-ipodermiti e, soprattutto, le ulcere venose, sono sempre temibili. Esse hanno un ruolo primario nella comparsa di invalidità spesso permanente, per la difficoltà e talvolta l’impossibilità di portarle a guarigione.
L’importanza della prevenzione
La malattia varicosa è definita “essenziale” in quanto l’eziologia ed il divenire patogenetico non sono completamente chiari.
Negli anni passati, si è data molta più enfasi di quanto non si faccia oggi alla componente eredo-familiare.
Le ipotesi più recenti riguardo alla fisiopatologia dell’MVC, mettono al centro del problema l’ipertensione venosa che si collega con l’espressione flogistica valvolare e parietale.
Il primo atteggiamento da assumere è quindi quello di ridurre il più possibile la frequenza e l’intensità delle situazioni in cui si produce ipertensione venosa, ridurre cioè le condizioni di rischio o potenzialmente peggiorative.
I fattori di rischio venoso si possono suddividere in modificabili e non modificabili.
Fanno parte del primo gruppo:
- Il sovrappeso e/o l’obesità
- Una prolungata stazione eretta o seduta
- L’esposizione a forti fonti di calore
- L’appoggio plantare incongruo (piattismo – equinismo o impiego di calzature con tacchi alti o troppo bassi)
- La sedentarietà
- La gravidanza, il trattamento estroprogestinico (TEP), il trattamento sostitutivo in menopausa (HRT)
- L’uso di indumenti troppo stretti
Nel secondo gruppo invece troviamo la familiarità e l’età.
L’attivita’ lavorativa e fisica
Durante l’attività lavorativa, se questa si svolge prevalentemente in posizione seduta o in ortostatismo prolungato, è consigliabile compiere ogni mezz’ora dei movimenti di sollevamento sulla punta dei piedi, o se l’ambiente lo permette, un percorso di 8-10 passi in modo da attivare la pompa muscolare.
Va incoraggiata l’attività fisica preferendo la passeggiata, il jogging e il nuoto.
Sconsigliati sono invece gli sport come il body building, il sollevamento pesi, il basket, la pallavolo, gli sport marziali, lo sci alpino.
L’uso della bicicletta, è poco consigliato ai soggetti con varici primarie e secondarie, poiché favorisce il ritorno venoso prevalentemente attraverso il sistema superficiale; può essere tuttavia una valida alternativa nei mesi invernali.
I viaggi
I viaggi in auto, soprattutto se prolungati, provocano facilmente stasi venosa agli arti inferiori, dovuta alla posizione seduta. Fare ogni tanto una sosta può risultare vantaggioso per la riattivazione della pompa muscolare.
Durante i viaggi in aereo, treno, pullman può accadere spesso, se il viaggio è di lunga durata, di essere costretti a stare seduti per lungo tempo determinando l’insorgenza di fastidiosi disturbi quali gonfiore all’estremità, rigidità delle articolazioni, comparsa di formicolii e dolenzia muscolare anche in persone di buona salute.
Per i soggetti con diagnosi di malattia venosa cronica è opportuno, durante il viaggio, cercare di fare qualche passo nel corridoio del mezzo di trasporto ogni 20-30 minuti.
- In alternativa alla camminata è possibile eseguire dei piccoli esercizi:
mantenendo le gambe ad angolo retto, alzare i talloni e lasciarli ricadere; - alzare le punte dei piedi e lasciarli cadere
Come gestire la malattia dal punto di vista clinico: la terapia elasto-compressiva
“La compressione è una delle terapie più antiche adottate dall’uomo e il suo ruolo è stato definito nei secoli da numerosissime esperienze e studi.”
“La terapia compressiva è di basilare importanza nella cura delle malattie flebolinfologiche, che interessano oltre un quarto della popolazione.”
Dare una esatta definizione di terapia compressiva non è semplice, tuttavia la si può intendere come:
“la pressione esercitata su di un arto da materiali di varia elasticità al fine di prevenire e curare le malattie del sistema flebo-linfatico”.
I termini di contenzione-compressione vengono spesso erroneamente usati come sinonimi ma in realtà indicano concetti diversi:
Contenzione
Per contenzione si intende l’azione di un sistema di compressione anelastico o con scarsa elasticità che ha come effetto prevalente la opposizione alla dilatazione sistolica muscolare, sviluppando un effetto di rinforzo sulla azione premente-aspirante delle pompe venose.
Compressione
Per compressione si intende la pressione esercitata su un arto da materiali di varia estensibilità che interessa in modo degressivo gli strati pre e sottofasciali. La compressione presuppone che l’arto non modifichi le proprie dimensioni nel tempo.
Dato che le dimensioni dell’arto cambiano, per la dilatazione sistolica muscolare, durante la deambulazione, occorre contrastare questo fenomenocontenendolo.
La maggior parte delle bende o delle calze elastiche usate nelle applicazioni cliniche esercita una azione combinata contenitiva- compressiva, in percentuale diversa a seconda della rigidità (stiffness) derivante dai materiali componenti.
I meccanismi d’azione e le conseguenze cliniche della terapia compressiva in flebolinfologia sono stati descritti in un grande numero di lavori scientifici e possono essere sinteticamente riassunti:
- azione sul sistema venoso superficiale e profondo;
- azione sul volume ematico;
- azione sui tessuti;
- azione sul compartimento microvasculotissutale;
- azione sul trombo venoso.
Le conseguenze della terapia compressiva sono quindi riassumibili in questa definizione:
La compressione esercitata sugli arti inferiori provoca la riduzione del calibro venoso, il conseguente migliore collabimento dei lembi valvolari sani e la riduzione dei reflussi
patologici (perforanti incontinenti) sino al 30-40%.
(Fischer H. 1976; Stemmer R. e coll. 1976; Emter M. e coll. 1991, Sarin S. e coll. 1992, Mariani F. e coll. 1991)
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- valutare i fattori di rischio modificabili
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